Luca 9:51 Or avvenne che, mentre si stava compiendo il tempo in cui egli doveva essere portato in cielo, egli diresse risolutamente la sua faccia per andare a Gerusalemme
Tutte le volte che leggo questo passo rimango affascinata, perché mi immagino Gesù che, perfettamente consapevole di ciò che avrebbe dovuto soffrire, ha messo tutta la sua volontà per affrontarlo. Lo vedo come uno che pianta i piedi per terra e dichiara: Ok vado! Fissa lo sguardo davanti a lui, non si fa distrarre da nulla. Sono certa che da quel momento in poi la sua mente e il suo cuore erano fissi sulla gloria futura che il suo sacrificio gli avrebbe procurato. È stato l’unico modo che gli ha dato la forza necessaria per sopportare ogni sofferenza, umiliazione e rifiuto. Per comprendere bene questo stato d’animo di Gesù dobbiamo andare a leggere Isaia 50:7
Ma il Signore, DIO, mi ha soccorso; perciò non sono stato abbattuto; perciò ho reso la mia faccia dura come la pietra e so che non sarò deluso.
E non avrebbe potuto essere diversamente, vista la portata della sofferenza da affrontare.
Ciò che emerge con particolare intensità dai Vangeli è che Gesù, fin dall'inizio del suo ministero, era pienamente consapevole del destino che lo attendeva. Nonostante la possibilità di ritirarsi in qualsiasi momento, non ha mai esitato. Anzi, ogni tentazione non faceva che rafforzare la sua determinazione ad andare avanti, senza mai vacillare.
La Sua Umanità e la Sua Forza
È un aspetto che tocca profondamente: Gesù era perfettamente uomo. Quando è venuto sulla terra, ha volontariamente rinunciato alla sua gloria divina per diventare in tutto simile a noi. Come un qualsiasi credente, ha dovuto ricevere lo Spirito Santo per compiere la sua missione ed è stato sottoposto a ogni genere di tentazione: paura, vergogna, dolore, tristezza mortale. Eppure, ha superato tutto. Invece di cedere, si è mantenuto con lo sguardo fisso, "con la faccia dura come un macigno" rivolta a Gerusalemme, come profetizzato in Isaia (50:7).
Lo Sguardo Fissato sulla Vittoria
Gerusalemme, in questo contesto, assume un profondo significato spirituale. Non era solo il luogo della sua sofferenza, ma il luogo della sua vittoria definitiva e della sua gloria. Gesù non si focalizzava sull'agonia imminente, ma sulla gioia che gli era posta davanti (Ebrei 12:2). Doveva mantenere questo sguardo saldo, altrimenti non avrebbe potuto farcela. Il suo trionfo sulla sofferenza non è stato il risultato di una natura divina che lo proteggeva, ma della sua incrollabile fede e obbedienza, un esempio che dimostra che, anche come uomo, si può superare ogni avversità mantenendo lo sguardo fisso sulla meta.
Ora andiamo a vedere nei vangeli tutte le volte in cui Gesù fa riferimento a ciò che doveva soffrire e ne analizziamo il contesto:
Il primo annuncio della passione si inserisce in un momento cruciale, descritto in Matteo 16:13-23. Dopo aver interrogato i discepoli sulla sua identità, Gesù pose loro una domanda diretta e personale: «E voi, chi dite che io sia?». Non gli bastava una risposta basata su opinioni popolari; Gesù voleva essere riconosciuto dai suoi come il Cristo, il Messia promesso. Questa consapevolezza era fondamentale per prepararli agli eventi futuri, perché solo capendo chi fosse davvero avrebbero potuto testimoniare la sua opera.
Con slancio e ispirazione, Pietro rispose: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». La sua non fu una conclusione logica, ma una rivelazione divina. Gesù stesso glielo confermò: «Tu sei beato, o Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli». Questo momento segna un punto di svolta: Gesù dichiara che su questa roccia — cioè sulla verità rivelata che Lui è il Cristo — edificherà la sua Chiesa, una Chiesa che non potrà essere vinta.
I discepoli, in quel momento, capirono una verità essenziale: la conoscenza delle realtà di Dio non si ottiene con la capacità umana o lo sforzo personale, ma unicamente per rivelazione. Per comprendere la potenza della resurrezione, prima dovevano avere la certezza che Gesù fosse davvero il Cristo, e questa certezza poteva venire solo da Dio.
In questo modo, Gesù introduce un nuovo modo di relazionarsi con il Padre. Non si tratta più solo di obbedire a regole scritte, ma di entrare in una relazione di amore e di scambio, dove la verità si manifesta direttamente al cuore del credente. La risposta di Pietro, ispirata da Dio, rappresenta il passaggio da una fede basata sulla Legge a una fede fondata sulla rivelazione personale e sulla relazione intima con il Padre.
Subito dopo la confessione di Pietro, Gesù iniziò a preparare i suoi discepoli per la realtà del suo destino. In Matteo 16:21, dichiarò con assoluta chiarezza che sarebbe dovuto andare a Gerusalemme per soffrire molto per mano degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, essere ucciso e risuscitare il terzo giorno. Questo annuncio rivela la lucidità e la determinazione con cui Gesù affrontava il suo futuro. Sapeva esattamente cosa lo attendeva, ne conosceva l'intensità fin dall'inizio, eppure la prospettiva di un dolore immenso non lo distolse dal suo scopo principale: preparare i suoi discepoli. Il suo profondo amore per loro lo spingeva a mettere il loro bene al di sopra della propria sofferenza.
Gesù, essendo pienamente uomo, provava senza dubbio la paura e l'angoscia che qualsiasi altra persona in quella situazione avrebbe sperimentato. Stava affrontando la tentazione di evitare il dolore, ma resisteva con una forza e una risolutezza straordinarie. Questa fermezza si manifesta in modo lampante quando Pietro, incapace di accettare l'idea di un Messia sofferente, lo prese da parte e lo rimproverò: «Signore, Dio te ne liberi; questo non ti avverrà mai».
La Dura Risposta a Pietro
La reazione di Gesù fu immediata, decisa e senza esitazione. Voltandosi, disse a Pietro: «Vattene via da me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini». Questa risposta, all'apparenza durissima, dimostra che Gesù non stava semplicemente rimproverando un amico, ma discerneva la tentazione che si nascondeva dietro le parole di Pietro. Sapeva che il nemico stava cercando di farlo deviare dal suo cammino, spingendolo a rinunciare al sacrificio evitando così la sofferenza. La sua risposta non ammetteva incertezze, perché l'alternativa sarebbe stata fallire la sua missione.
La Forza della Fede di Fronte al Sacrificio
Il coraggio di Gesù emerge con ancora più potenza se consideriamo che andava incontro a un dolore di cui conosceva ogni dettaglio. Un conto è affrontare l'ignoto; un altro è procedere con la piena consapevolezza di ciò che accadrà, e per di più, essere tentati a rinunciare da qualcuno che si ama. La sua risolutezza in questo momento cruciale evidenzia una fede incrollabile. Gesù rimase saldo, fedele alla sua chiamata, senza mai vacillare o esitare, manifestando così quell’amore immenso, senza condizione che aveva per tutta l’umanità.
La seconda volta che Gesù annuncia la sua morte lo troviamo in Matteo 17:22-23 Ora, mentre essi s'intrattenevano nella Galilea, Gesù disse loro: «Il Figlio dell'uomo sta per essere dato nelle mani degli uomini, 23 ed essi l'uccideranno; ma il terzo giorno egli risusciterà». Ed essi ne furono grandemente contristati.
Gesù sapeva perfettamente cosa significasse essere dato nelle mani degli uomini lui conosceva perfettamente le regole dei Romani, i supplizi inflitti ai loro condannati, e lo dice chiaramente senza giri di parole, tutti potevano capire cosa volesse dire, non poteva essere frainteso.
Tuttavia, il Vangelo riporta che i discepoli «ne furono grandemente contristati», a dimostrazione della loro incapacità di accettare la realtà di un Messia sofferente.
Il terzo e più dettagliato annuncio si trova in Matteo 20:17-19. Mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i Dodici e descrisse con precisione ciò che lo attendeva: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà dato in mano dei capi dei sacerdoti e degli scribi, ed essi lo condanneranno a morte. Lo consegneranno poi nelle mani dei gentili perché sia schernito, flagellato e crocifisso; ma il terzo giorno egli risusciterà». Queste parole non erano retorica, ma la descrizione esatta del suo destino. Nonostante la sua piena consapevolezza, Gesù avanzò risolutamente, senza mai deviare dal suo percorso.
Chi ha visto il film The Passion di Mel Gibson, ha potuto farsi un’idea di ciò che Gesù ha dovuto soffrire, e Isaia lo descrive in questo modo:
Isaia 52:14 Come molti, vedendolo, sono rimasti sbigottiti (tanto era sfigurato il suo aspetto al punto da non sembrare più un uomo, e il suo sembiante al punto da non sembrare più un figlio d'uomo)
Purtroppo, nessuno comprese completamente queste parole, forse perché sembrava così assurdo che succedesse una cosa del genere, proprio al Messia, colui che era atteso come un liberatore politico.
L'Agonia nel Getsemani
L'apice della sua risolutezza si manifesta nel giardino del Getsemani. Mentre il momento cruciale si avvicinava, Gesù fu assalito da un'angoscia profonda. Chiese a Pietro, Giacomo e Giovanni di rimanere svegli e pregare con lui, cercando un minimo di conforto che potesse alleviare la sua solitudine. Purtroppo, essi si addormentarono. Gesù avrebbe voluto che imparassero da Lui la determinazione necessaria per affrontare il momento più buio. Lì, in quel giardino, visse un'agonia talmente atroce che il Vangelo di Luca riporta che il suo sudore divenne come gocce di sangue che cadevano a terra. La consapevolezza di ciò che stava per accadere era così intensa da provocargli una reazione fisica estrema.
Di fronte a tale tormento, Gesù pregò il Padre: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Luca 22:42).
Questa preghiera non era una supplica per evitare il dolore fisico. La vera fonte della sua angoscia non era la tortura o la crocifissione, ma la prospettiva di bere il calice dell'ira di Dio. La cosa che spaventava Gesù più di tutto era la morte spirituale: il dover morire a causa dei peccati di tutta l'umanità e, per un istante, subire la separazione dal Padre, a causa del peso del peccato del mondo, ma decise ugualmente di sottomettersi alla Sua volontà. La sua perfetta obbedienza, in quel momento di supremo terrore spirituale, dimostra la sua risolutezza più profonda.
L'Amore come Forza Motrice della Sua Risolutezza
Sebbene i Vangeli ci mostrino la piena consapevolezza di Gesù riguardo alla sua sofferenza, la vera domanda è: cosa gli dava la forza di rimanere così determinato? La risposta non è soltanto la pura obbedienza, ma qualcosa di ben più profondo: l'amore.
Come recita un canto cristiano non furono i chiodi a tenerti lassù (in croce) ma era l’amore, l’amore per me... per te e per tutta l’umanità. Gesù sapeva che il suo sacrificio non era fine a sé stesso, ma avrebbe avuto un risultato eterno: la riconciliazione dell'uomo con Dio. Il suo obiettivo non era semplicemente morire, ma morire per ristabilire quella relazione perfetta che era andata perduta a causa del peccato. Sapeva che, attraverso la sua morte e resurrezione, avrebbe offerto a tutti coloro che avrebbero creduto la possibilità di avere un Padre.
Il Problema del Peccato e l'Unica Soluzione
La natura del problema era che la caduta aveva creato un abisso incolmabile tra un Dio infinitamente santo e una natura umana corrotta dal peccato. L'uomo, con i suoi sforzi, le sue buone opere, i suoi sacrifici o le sue preghiere, non avrebbe mai potuto sanare questo divario. Il peccato è una barriera che la forza umana non può abbattere.
In Marco 10:26-27 risiede l’essenza di ciò che stiamo dicendo: «Chi dunque può essere salvato?». La risposta di Gesù è illuminante: «Questo è impossibile agli uomini, ma non a Dio, perché ogni cosa è possibile a Dio».
La salvezza non è una conquista umana, ma un dono divino. Solo Dio stesso, nella persona di Gesù, poteva compiere un'opera del genere. Nella sua umanità, Gesù si è reso totalmente obbediente e arreso alla sofferenza fisica e, soprattutto, a quella spirituale, scegliendo di farsi carico del peccato del mondo per ripristinare la relazione con l'umanità.
La risolutezza di Gesù non era un'eroica prova di forza, ma la dimostrazione suprema del suo amore. L'amore è stato l'unica forza in grado di spingerlo a portare a termine il suo sacrificio, superando la paura, la vergogna e il dolore più profondo, sapendo che solo in quel modo l'umanità sarebbe stata salvata.
Il sacrificio di Cristo è la risposta divina all'abisso incolmabile del peccato. Dove i nostri sforzi, le nostre preghiere e le nostre opere buone falliscono, l'amore di Gesù ha trionfato. Egli non ha solo patito un'indicibile sofferenza fisica, ma ha scelto di sperimentare il peso del peccato del mondo e l'amara separazione dal Padre, bevendo il calice che era destinato a noi. Questo è l'atto d'amore più grande e puro mai compiuto.
E ora, quale deve essere la nostra risposta a un amore così grande?
Non può essere indifferenza, non può essere un'ammirazione passeggera, né un'obbedienza distaccata a una serie di regole. La nostra unica risposta adeguata è un abbandono totale e una dedizione appassionata.
Dobbiamo guardare a quell'amore che ci ha redento e, con umiltà e gratitudine, offrirgli la nostra vita. Dobbiamo accogliere il suo dono non come un obbligo, ma come la porta verso la libertà e la speranza. La nostra risolutezza, allora, non sarà la nostra forza, ma la ferma decisione di vivere per Colui che si è risoluto a morire per noi.
La risolutezza di Cristo ci insegna che non dobbiamo temere il dolore, ma che dobbiamo mantenere lo sguardo fisso sulla meta finale: la nostra eterna riconciliazione con Lui. La nostra vita deve diventare un'eco di quel sacrificio, un canto di gratitudine che ci spinge a vivere con lo stesso amore e la stessa determinazione che hanno portato Gesù sulla croce.
L'amore per il prossimo, per i nostri fratelli e per i perduti non è un'opzione o un'azione marginale, ma il segno distintivo che dovrebbe differenziarci da tutti. Come seguaci di Cristo, siamo chiamati a manifestare lo stesso amore radicale che abbiamo ricevuto. La nostra identità non si basa sulle nostre opere, ma sul fatto che siamo stati riconciliati con il Padre grazie all'indicibile sofferenza di Cristo. Abbiamo ottenuto un posto in una famiglia eterna e divina, e con questo dono, riceviamo un mandato sacro: amare come Cristo ci ha amato e conquistare cuori per Lui.
La Gioia che Sopporta Ogni Sofferenza
Il cuore pulsante di questa missione si trova nella gioia. Proprio come Gesù, nella sua risolutezza, ha sopportato ogni sofferenza guardando alla gioia che gli era posta davanti, così anche noi dobbiamo essere motivati dalla stessa prospettiva. La gioia di vedere un'anima liberata dalla schiavitù del peccato, riconciliata con Dio e accolta nella sua famiglia, è un'emozione così profonda e potente da rendere insignificante qualsiasi difficoltà o sacrificio che potremmo incontrare.
Il nostro impegno nel condividere l'amore di Cristo non sarà privo di ostacoli. Potremmo affrontare incomprensioni, rifiuti o indifferenza. Ma se manteniamo lo sguardo fisso sulla gioia del vangelo che trasforma le vite, ogni sforzo diventa un atto di amore puro. Portare un'anima a Cristo non ha prezzo, è la ricompensa più grande e un'eco della stessa gioia che ha sostenuto Cristo fino alla croce. È la prova vivente che l'amore, alla fine, trionfa sempre.
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