Le parole che pronunciamo hanno un peso che modella la nostra esistenza. Non si tratta di una semplice metafora, ma di una verità che risuona attraverso i secoli, trovando espressione in diverse tradizioni e discipline.
La Bibbia, nel libro dei Proverbi, lo dichiara senza mezzi termini: "Morte e vita sono in potere della lingua; chi l'ama ne mangerà i frutti" (Prov. 18:21). Questo verso non è un monito moralistico, ma l'affermazione di un principio cosmico: la lingua, la parola, è uno strumento di creazione o distruzione. Le nostre parole non sono suoni vuoti; sono semi che piantiamo nel terreno della nostra vita, e ciò che ne raccogliamo — frutti di vita o di morte — dipende dalla natura di quei semi.
Sorprendentemente, questa idea del potere della parola non è solo religiosa; si riflette anche nel mondo scientifico.
La Fisica Quantistica (anche se va interpretata con attenzione) suggerisce che il modo in cui guardiamo le cose, la nostra consapevolezza, può effettivamente influenzare la realtà. Questo porta molte persone a credere che, usando un intento cosciente e un pensiero focalizzato, possiamo guidare gli eventi della nostra vita verso il successo e la prosperità.
In sintesi, anche se i campi sono diversi, il messaggio è lo stesso: c'è un enorme potere nel pensiero che viene focalizzato, espresso e diretto.
A metà strada tra la fede e la psicologia personale, c'è la famosa sequenza di Mahatma Gandhi, che spiega perfettamente come funziona questo potere:
Le tue convinzioni (ciò in cui credi) creano i tuoi pensieri. I tuoi pensieri diventano le tue parole. Le tue parole si trasformano in azioni. Le tue azioni creano le tue abitudini. Le tue abitudini definiscono i tuoi valori. I tuoi valori forgiano il tuo destino.
Questa catena dimostra che il destino non è casuale, ma è il risultato finale di un processo che parte da qualcosa di invisibile – la convinzione – e che prende forma e forza concreta attraverso la parola. Le nostre parole sono, in pratica, il ponte che collega il nostro mondo interiore alla realtà che viviamo.
Una Bocca Purificata: L'Eco della Parola di Dio
Quindi è un dato di fatto che i nostri pensieri e le nostre parole hanno un ruolo determinante nella nostra vita. La domanda allora è: Come allineare questa forza alla volontà di Dio?
La risposta che la Bibbia offre è chiara: dobbiamo parlare la Parola di Dio. Gesù stesso, nel Vangelo di Giovanni, stabilisce una condizione meravigliosa e potentissima: "Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto" (Giov. 15:7).
Cosa significa che le "sue parole dimorano in voi"? Non si tratta di recitare versetti a memoria o di ripetere massime come un mantra vuoto. Questo è un fraintendimento superficiale. L'autentica "dimora" della Parola avviene quando essa permea i nostri pensieri e il nostro cuore in una resa totale a Dio.
Pronunciare la Parola di Dio in modo autentico significa che la nostra relazione con Lui è così intima, profonda e arresa da influenzare naturalmente ogni nostra espressione. È come il linguaggio spontaneo di un figlio che parla al padre, di un amico fidato, o di un innamorato. Non è un copione da seguire, ma la naturale espressione di una profonda conoscenza reciproca.
L'Intimità della Conoscenza: Mosè e il Signore
Questo concetto di conoscenza non è intellettuale, ma relazionale, e trova la sua massima espressione nell'esperienza di Mosè. Quando Mosè, parlando con il Signore, sente dirsi: "Io ti conosco personalmente e anche hai trovato grazia agli occhi miei" (Esodo 33:12), si rivela un livello di intimità che va oltre l'onniscenza divina.
Nel senso biblico, il verbo "conoscere" (spesso tradotto dall'ebraico yada) indica la relazione intima che si instaura tra marito e moglie, un rapporto che coinvolge tutto l'essere. Dio conosceva Mosè non solo perché è Onnisciente, ma perché Mosè aveva fatto di Dio la sua unica ragione di vita. Egli viveva in obbedienza, pendeva dalle sue labbra, e non avrebbe concepito un solo istante della sua vita lontano dalla Presenza divina. La sua famosa esclamazione: "Se la tua presenza non viene con me, non farci partire di qui" (Esodo 33:15), è l'apice di questa relazione: "Se Tu non vieni con me io non vado da nessuna parte!"
Solo in questa totale arresa, in questa "posizione di Mosè," la Parola di Dio può riempire il nostro essere al punto da trasformare le nostre parole. Tornando a Giovanni 15:7, "Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi" è la chiave: il nostro dimorare in Lui, la nostra intima relazione e conoscenza, è la premessa affinché la sua Parola dimori in noi e, di conseguenza, venga pronunciata.
L'Ostacolo e la Chiamata all'Arresa
Questo percorso, che ci insegna a parlare la Parola di Dio in modo coerente e cosciente, non è esente da ostacoli. E l'impedimento principale, la cosa che ci può far inciampare, è la nostra stessa natura: la carnalità e l'orgoglio.
Gesù, nel chiamare i suoi discepoli, ha fornito la direttiva essenziale per superare questo blocco: "Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua" (Luca 9:23). La rinuncia a sé stessi non è una mortificazione fine a se stessa, ma l'atto di purificare la bocca e il cuore da tutto ciò che non è allineato a Dio. È l'atto di togliere la nostra volontà, i nostri pensieri orgogliosi e la nostra carnalità, per fare spazio alla Sua Parola, per poter rispondere con la massima efficacia alla Sua chiamata.
Il potere della parola è immenso, ma la sua vera forza si manifesta quando essa non è più nostra, ma è l'eco fedele e purificato di una Voce più grande che dimora in noi.
Arrendersi al Creatore: L'Unica Scelta Umana in un'Opera Divina
Dopo aver riconosciuto che le nostre parole sono veicoli di creazione o distruzione, e che la vera forza della lingua risiede nell'intimità con la Parola di Dio, emerge il nodo centrale della fede: l'Arresa.
La rinuncia a noi stessi è la cosa più difficile, perché tocca il cuore della nostra autonomia. Dio ha compiuto l'opera titanica della salvezza, ma ha lasciato all'uomo, in un atto di amore e rispetto per il nostro libero arbitrio, l'unica azione imprescindibile: la risposta di Fede. Nessuno può arrendersi al posto nostro; la scelta di ubbidire o ignorare la chiamata, di arrenderci totalmente o restare ancorati al nostro ego, è un atto solitario della nostra volontà.
La Vigna e l'Opera Perfetta del Padre
Per comprendere la portata di questa responsabilità, guardiamo all'immagine tratta dal profeta Isaia (5:1-4): la vigna.
Il v.4 conclude dicendo: "Che cosa si sarebbe potuto fare alla mia vigna più di quanto ho fatto per essa? Perché, mentre mi aspettavo che facesse uva, ha fatto uva selvatica?"
Questo lamento divino, originariamente rivolto a Israele, è un potente specchio per ciascuno di noi. Il Signore, come il vignaiolo perfetto, ha dissodato, tolto le pietre, piantato le viti migliori e costruito ogni infrastruttura necessaria (la torre, lo strettoio). Lui ha completato il suo lavoro in modo impeccabile, senza tralasciare nulla. La vigna, il popolo, doveva semplicemente portare frutto.
Questo principio è trasferito a noi: Dio ha provveduto la Via per riversare su di noi ogni benedizione immaginabile. Questa Via è Gesù, il cui sacrificio non è stato una "riparazione" parziale, ma una sostituzione radicale della nostra vita.
Mi viene in mente un esempio: io ho una Fiat 500 si guastano i freni e non posso più viaggiare perché rischio di andare a schiantarmi da qualche parte; la porto dal mio meccanico di fiducia e lui invece di cambiare solo i freni mi sostituisce l’auto e invece di darmi un’altra 500 mi dà una Lamborghini nuova di zecca e mi dice: Ecco, questa non si guasterà più! Guidala secondo il libretto delle istruzioni. Ma se io la guido e mi comporto con questa macchina come con la 500 mi perderò un sacco di soddisfazioni.
Questo esempio è perfetto per illustrare questa rigenerazione totale: non ci sono stati cambiati i "freni guasti" (le nostre vecchie abitudini o peccati), ma ci è stata donata una macchina completamente nuova—una Lamborghini al posto di una vecchia Fiat 500. Abbiamo ricevuto una vita nuova, eterna e abbondantemente benedetta.
Eppure, il paradosso è doloroso: spesso continuiamo a vivere come nella vecchia vita. Guidiamo la Lamborghini con la mentalità e le abitudini limitate della 500. Perdiamo la gioia e la potenza della nuova identità perché non abbiamo completato il passo dell'arresa totale, non abbiamo abbracciato il "libretto delle istruzioni" (la Parola di Dio) con tutto il nostro cuore.
La Santa Chiamata: Tre Dimensioni dell'Identità Rigenerata
L'arresa completa è la condizione per onorare quella che la Scrittura definisce la "Santa Chiamata" (2 Timoteo 1:9). Questa chiamata non si basa sulle nostre opere, ma è fondata unicamente sul proposito di Dio e sulla grazia ricevuta in Cristo.
A cosa siamo chiamati? Principalmente a vivere secondo questa nuova identità, come nuove creature, e non secondo la nostra "carne" (la vecchia natura). La conseguenza di questa coerenza è la nostra testimonianza al mondo. Non possiamo, infatti, predicare un Cristo rigeneratore se la nostra vita è ancora incatenata alla "vecchia maniera".
La chiamata si articola in tre dimensioni che coinvolgono, in modi diversi, la nostra volontà di arrenderci:
1. La Chiamata Universale alla Santità e Comunione
Il primo e fondamentale aspetto della chiamata è essere Santi e ad essere in comunione con Lui(1 Corinzi 1:2,9).
Santi in questo contesto significa appartati. Siamo stati messi a parte per Lui, per il Suo regno. Questo è un atto di identità che precede ogni azione. La nostra volontà è implicata nella risposta a questa chiamata: possiamo scegliere di onorare questa messa a parte o di ignorarla, ma l'identità ci è stata già conferita. La santità è, prima di tutto, appartenenza al Signore. Comunione (in gr. koinonia) questo termine koinonia abbraccia i concetti di relazione e scambio; è la condivisione di vita e di intenti.
2. La Chiamata Universale alla Testimonianza
Il secondo aspetto coinvolge ogni nato di nuovo: testimoniare e portare il Vangelo a ogni creatura (Marco 16:15).
Questa è la missione esterna, l'espressione più evidente della nostra nuova identità. Se la santità è il nostro modo di essere in Lui, la testimonianza è il nostro modo di agire per Lui nel mondo. L'arresa ci dà la coerenza per parlare con autorità e integrità.
3. La Chiamata Individuale al Servizio (Doni Spirituali)
Infine, esiste la chiamata individuale, quella specifica e personale: esercitare il proprio dono all'interno dell'organismo della Chiesa (Romani 12:6-8; 1 Corinzi 12:4-11).
Dio ha operato una meravigliosa diversità di doni—profezia, insegnamento, servizio, esortazione, miracoli, assistenza, e molti altri—distribuiti dallo Spirito Santo "a ciascuno in particolare come vuole". Questo aspetto della chiamata ci realizza pienamente in Lui.
Nessun figlio di Dio è escluso! Tutti hanno una chiamata, un luogo, un dono specifico. Dio non ha riguardi personali; il Suo desiderio è che tutti i Suoi figli si realizzino pienamente nella loro nuova identità.
Il nostro vecchio modo di vivere, di pensare e di affrontare la vita può creare un "rumore" così grande da offuscare o mettere a tacere questa vocazione individuale, portandoci a dire: "Non so quale sia la mia chiamata." Ma la chiarezza arriva attraverso la totale arresa: quando mettiamo da parte la nostra volontà e i nostri vecchi "freni", la Voce che ci chiama a essere santi, a relazionarci con Lui, a testimoniare e a servire con il nostro dono, diventa inconfondibile.
Le Obiezioni alla Chiamata Divina: Il Grido della Vecchia Natura
L'ostacolo più grande alla vocazione divina non è la mancanza di capacità in sé, ma il linguaggio della nostra vecchia natura.
Quando Dio interviene in modo straordinario – un pruno ardente, la visione di un Re santo – la prima reazione dell'uomo è quasi sempre l'obiezione.
Mosè: Il Triplice Muro delle Obiezioni
Il racconto di Mosè (Esodo 3:5-10) è emblematico della resistenza umana di fronte a una chiamata che supera ogni logica. Dio gli comunica il Suo progetto di liberazione, ma Mosè, pastore anziano e solitario, alza subito tre muri:
Obiezione di Identità ("Chi sono io?"): Mosè svaluta la sua identità attuale ("solo un pastore") e dimentica l'identità che Dio gli ha già conferito. Questa è la voce dell'umiltà carnale, che rifiuta di credere che Dio possa usare il "nulla" per compiere il "tutto".
Obiezione di Rifiuto ("Essi non mi crederanno"): Questa è la paura del giudizio e del rifiuto degli altri. È il timore di abbandonare la propria "area di comfort" – per Mosè, la rassicurante solitudine del deserto – per esporsi al mondo e alla potenziale derisione.
Obiezione di Incapacità ("Io non sono un parlatore"): Mosè guarda alla sua balbuzie, al suo difetto di linguaggio. Questa obiezione va dritta al cuore di questo studio: la sua incapacità di parlare con efficacia sembra vanificare l'intera missione.
Per tre volte, Mosè risponde negativamente, accampando le paure umane. Ma la risposta di Dio è definitiva e squarcia il velo: "Chi ha fatto la bocca dell'uomo... Non sono forse io, l'Eterno? Or dunque va', e io sarò con la tua bocca e ti insegnerò ciò che dovrai dire" (Esodo 4:11-12). In sostanza, Dio dice: la tua capacità non è la questione, è la Mia Presenza nella tua bocca la risposta.
Il Problema della Bocca Impura
Anche i profeti Isaia e Geremia sollevano obiezioni che si concentrano sul problema del linguaggio e dell'impurità (o dell'immaturità):
Isaia: Di fronte alla maestà del Re, Isaia esclama: "Sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure" (Isaia 6:5). La sua consapevolezza del peccato si manifesta primariamente nella sua incapacità di parlare in modo santo.
Geremia: Il giovane profeta si tira indietro dicendo: "Io non so parlare, perché sono un ragazzo" (Geremia 1:6). La sua obiezione è legata all'immaturità e alla mancanza di autorità vocale.
In tutti e tre i casi, l'intervento di Dio è diretto alla bocca: purificazione con il carbone ardente per Isaia; un tocco divino e l'assicurazione di guida per Mosè; un tocco e l'inserimento delle Sue parole per Geremia. Il loro parlare vanificava la loro chiamata finché Dio non è intervenuto a purificarli e ad armarli.
La Bocca Purificata: Il Potenziale del Nuovo Patto
Questi racconti sono un'ombra gloriosa della realtà che viviamo nel Nuovo Patto.
Se nel Vecchio Patto Dio doveva intervenire con un tocco straordinario e occasionale, nel Nuovo Patto Lui ci ha fatti nascere di nuovo in Cristo Gesù. La Sua risposta a Mosè – "Non sono forse Io che ho fatto la bocca?" – si realizza pienamente in noi: siamo nuove creature (la "Lamborghini" della nuova vita) e la Sua Presenza è per sempre in noi ("Io sono con voi tutti i giorni," Matteo 28:20).
Dal momento in cui siamo rigenerati, il nostro parlare deve cambiare: chi malediceva, ora benedice; chi era vano, parla di verità. La bocca di Isaia è purificata perché il suo peccato è stato espiato – l'opera che noi abbiamo ricevuto per fede in Gesù.
La Scrittura ci mostra l'apice di questa trasformazione: "Se uno non sbaglia nel parlare è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo" (Giacomo 3:2). Questo è il potenziale abilitato in noi dallo Spirito Santo. La nostra immaturità non ha più importanza (Geremia), perché Dio ha messo Le Sue parole nella nostra bocca. Se la Parola dimora in noi, la nostra sapienza è in Lui.
La Responsabilità della Parola in Cristo
Dio ci ha dato tutte le risorse necessarie per essere perfetti ed efficaci nella nostra chiamata. Siamo esseri spirituali con un potenziale enorme, ma l'unica cosa che può invalidare tutto è il nostro linguaggio carnale.
Quando pronunciamo obiezioni — Ma io non sono capace, Ma io non posso, Ma ho altri desideri — stiamo, di fatto, maledicendo l'opera che Dio ha compiuto in noi. Stiamo promuovendo le nostre paure, la nostra pigrizia e la nostra incapacità, vanificando la nostra chiamata e la nuova identità che ci è stata data.
Dobbiamo imparare a benedire con la bocca: benedire l'opera di Dio in noi, il progetto che Lui ha, il dono che è in noi e le opere che ha già preparato.
Se affermiamo di credere in Dio, dobbiamo credere che i Suoi pensieri e i Suoi desideri per la nostra vita sono i migliori, di gran lunga superiori ai nostri.
A questo punto nasce un interrogativo: Se non conosciamo la nostra specifica chiamata, se non riusciamo a percepirla, non è forse perché siamo troppo occupati a seguire tutti gli "impegni" che il mondo ci mette davanti? La Marta dei vangeli serviva Cristo con premura, ma sua sorella Maria fu quella lodata da Gesù. La vera arresa porta a un'unica preghiera valida ogni mattina:
"Signore, cosa vuoi che faccia oggi?" Con un cuore mansueto e una bocca purificata, pronti a ubbidire.
Questa è la piena realizzazione del potere della Parola in noi.
Se perfino giganti della fede come Mosè, Isaia e Geremia hanno dovuto essere corretti e purificati nel parlare per onorare la loro chiamata, quanto più è essenziale per noi vigilare sulle parole che pronunciamo. Le loro obiezioni – l'incapacità, l'impurità, l'immaturità – erano il linguaggio della vecchia natura che doveva cedere il passo alla Parola di Dio.
"Dall'abbondanza del cuore parla la sua bocca" (Luca 6:45). Questo versetto non è un monito, ma una radiografia della nostra anima.
Se passiamo le nostre giornate tra mille impegni, non dedicando un tempo sacro alla Parola di Dio per riempire il nostro cuore dei Suoi principi e della Sua volontà, quale credi che sia l'autentica abbondanza del tuo cuore? E di conseguenza, di cosa parlerà la tua bocca? La risposta si manifesta spontaneamente.
Ti offro un consiglio pratico: ascoltati quando parli. Presta attenzione al tuo linguaggio quotidiano, alle tue lamentele, alle tue paure espresse, alle tue priorità dichiarate. In quelle parole capirai perfettamente di cosa è pieno il tuo cuore.
Qui sta il problema cruciale: se il tesoro del nostro cuore non è conforme a ciò che Dio considera prezioso, non potremo mai perseguire i Suoi scopi. Le nostre parole diventeranno la massima obiezione al nostro stesso destino.
La buona notizia è che il Signore ci ha equipaggiati di tutto ciò di cui abbiamo bisogno.
Giovanni 15:7 Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quel che volete e vi sarà fatto.
Pertanto, la conclusione pratica è un'azione quotidiana e potente:
Benediciamo ogni giorno la nostra chiamata e camminiamo in essa con fedeltà e coraggio. Scegliendo di parlare non le parole della paura e dell'orgoglio, ma la Parola purificata della fede, trasformeremo così le nostre convinzioni in un destino di gloria.
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