La fedeltà è una delle virtù più potenti e, al contempo, più esigenti che l'essere umano possa coltivare. Non è semplicemente una questione di lealtà passeggera o condizionata; è una scelta consapevole di rimanere saldi e coerenti a qualcuno o a qualcosa – sia esso un ideale, una persona, una causa o un impegno – indipendentemente dalle circostanze esterne. Questo significa perseverare anche quando la situazione si fa difficile, quando le risposte non sono quelle sperate, o quando si presentano ostacoli insormontabili.
Il vero banco di prova della fedeltà è il suo costo. Mantenere la propria parola, i propri principi o il proprio impegno spesso comporta sacrifici significativi, a volte persino elevati.
L'esempio del tifoso di calcio illustra perfettamente questo concetto: la fedeltà alla propria squadra non si manifesta solo nelle vittorie, ma soprattutto nelle sconfitte umilianti, quando l'onta della derisione è palpabile. Il vero tifoso, lungi dal voltare le spalle, raddoppia il suo sostegno, difende la sua "fede" con argomenti appassionati e continua a credere nella rinascita della squadra, anche contro ogni logica. Questa perseveranza, questa resistenza alla pressione sociale o alla delusione, è l'essenza stessa della fedeltà. In alcuni casi, la fedeltà può spingere a decisioni radicali, come sacrificare amicizie consolidate pur di non rinnegare la propria bandiera. Questo evidenzia come la fedeltà possa diventare una componente fondamentale dell'identità di una persona, modellandone le scelte e i valori.
L’esempio più eccellente di fedeltà, però è Cristo.
Gesù è venuto nel mondo con un obiettivo ben definito: portare la salvezza all'umanità. Questa non era una missione qualunque, ma un'opera di proporzioni colossali, che avrebbe richiesto un impegno e una perseveranza inimmaginabili.
Per affrontare un compito così imponente, serviva una forza trainante eccezionale. E qui entra in gioco un aspetto fondamentale della sua figura: pur essendo Dio incarnato, Gesù era anche pienamente uomo. Questo significa che, pur possedendo la natura divina, ha sperimentato tutte le limitazioni e le fragilità umane: la fame, la sete, la stanchezza, il dolore fisico, il freddo e il caldo. Se veniva colpito, riportava lividi come qualsiasi altra persona. La sua umanità lo rendeva vulnerabile e soggetto alle stesse prove e tentazioni di ogni essere umano. Questo rende la sua fedeltà ancora più straordinaria, perché non era il risultato di una natura puramente divina che lo rendesse invulnerabile, ma di una scelta costante e volontaria nonostante i limiti umani.
Allora, cosa lo ha spinto a rimanere così incrollabilmente fedele?
a) La promessa del Padre e la costante conferma dello Spirito Santo: Gesù aveva la certezza, infusa dal Padre e corroborata dallo Spirito Santo che risiedeva in lui, che il suo sacrificio non sarebbe stato vano. Sapeva che avrebbe raggiunto il suo scopo. Questa consapevolezza del successo finale, pur nella sofferenza presente, ha rappresentato una fonte inesauribile di forza e determinazione (Ebrei 12:2).
b) L'amore per il suo popolo e per estensione, per tutto il mondo: Al di là di ogni promessa o conferma, il motore ultimo della sua fedeltà era un amore sconfinato (Giovanni 13:1). Un amore che lo ha spinto a superare ogni limite, ogni dolore, ogni umiliazione, pur di garantire la salvezza. Questo amore non era limitato a un gruppo ristretto, ma si estendeva a tutta l'umanità, senza distinzioni.
Per questo, Gesù ha affrontato e sopportato indicibili sofferenze: tradimento, abbandono, scherni, torture fisiche e un'agonia spirituale. Eppure, in ogni istante, si è mantenuto volontariamente fedele al suo scopo e alla volontà del Padre, senza mai vacillare. Non c'è stato un momento di esitazione, una ritirata, un ripensamento.
È proprio grazie a questa fedeltà assoluta e incondizionata che il suo sacrificio non è stato solo un atto di sofferenza, ma è diventato perfetto e assolutamente efficace. La sua coerenza, la sua perseveranza nel portare a termine la missione affidatagli, ha garantito il compimento della salvezza.
Riflettendo così sulla fedeltà, leggiamo Isaia 52:13-53:12:
Ecco, il mio servo prospererà e sarà innalzato, elevato e grandemente esaltato. Come molti erano stupiti di te, così il suo aspetto era sfigurato più di quello di alcun uomo, e il suo volto era diverso da quello dei figli dell'uomo, così egli aspergerà molte nazioni; i re chiuderanno la bocca davanti a lui, perché vedranno ciò che non era mai stato loro narrato e comprenderanno ciò che non avevano udito.
Chi ha creduto alla nostra predicazione e a chi è stato rivelato il braccio dell'Eterno? Egli è venuto su davanti a lui come un ramoscello, come una radice da un arido suolo. Non aveva figura né bellezza da attirare i nostri sguardi, né apparenza da farcelo desiderare. Disprezzato e rigettato dagli uomini, uomo dei dolori, conoscitore della sofferenza, simile a uno davanti al quale ci si nasconde la faccia, era disprezzato, e noi non ne facemmo stima alcuna. Eppure egli portava le nostre malattie e si era caricato dei nostri dolori; noi però lo ritenevamo colpito, percosso da DIO ed umiliato. Ma egli è stato trafitto per le nostre trasgressioni, schiacciato per le nostre iniquità; il castigo per cui abbiamo la pace è su di lui, e per le sue lividure noi siamo stati guariti. Noi tutti come pecore eravamo erranti, ognuno di noi seguiva la propria via, e l'Eterno ha fatto ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. Maltrattato e umiliato, non aperse bocca. Come un agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi tosatori non aperse bocca. Fu portato via dall'oppressione e dal giudizio; e della sua generazione chi rifletté che era strappato dalla terra dei viventi e colpito per le trasgressioni del mio popolo? Gli avevano assegnato la sepoltura con gli empi, ma alla sua morte fu posto col ricco, perché non aveva commesso alcuna violenza e non c'era stato alcun inganno nella sua bocca. Ma piacque all'Eterno di percuoterlo, di farlo soffrire. Offrendo la sua vita in sacrificio per il peccato, egli vedrà una progenie, prolungherà i suoi giorni, e la volontà dell'Eterno prospererà nelle sue mani. Egli vedrà il frutto del travaglio della sua anima e ne sarà soddisfatto; per la sua conoscenza, il giusto, il mio servo, renderà giusti molti, perché si caricherà delle loro iniquità. Perciò gli darò la sua parte fra i grandi, ed egli dividerà il bottino con i potenti, perché ha versato la sua vita fino a morire ed è stato annoverato fra i malfattori; egli ha portato il peccato di molti e ha interceduto per i trasgressori.
Questi passi sono così carichi di pathos, cioè così capaci di suscitare profonda commozione e compassione. Questo brano profetico, letto con gli occhi del cuore e l'immaginazione, ci trasporta direttamente sulla scena della sofferenza del "Servo".
Il Servo Sofferente: Un Ritratto di Sacrificio e Redenzione
Il testo inizia con una promessa: il servo prospererà e sarà esaltato. Ma questa esaltazione è preceduta da una sofferenza inaudita. Il suo aspetto sfigurato, "più di quello di alcun uomo", e il suo volto irriconoscibile indicano un'umiliazione e un'agonia estreme. Egli "aspergerà molte nazioni", un'immagine che suggerisce purificazione e l'estensione universale del suo impatto. I re stessi rimarranno in silenzio davanti a lui, testimoni di qualcosa di inatteso e mai udito prima.
La vera essenza della sofferenza del Servo si rivela nel verso 53:2: viene descritto come un "ramoscello" o una "radice da un arido suolo", senza alcuna bellezza o attrattiva che potesse farcelo desiderare. Anzi, era "disprezzato e rigettato dagli uomini, uomo dei dolori, conoscitore della sofferenza". Era talmente degradato che le persone gli nascondevano il volto, non facendone alcuna stima.
Eppure, il cuore del messaggio è qui: "Eppure egli portava le nostre malattie e si era caricato dei nostri dolori. Noi lo ritenevamo colpito da Dio per i suoi peccati, ma in realtà è stato trafitto per le nostre trasgressioni, schiacciato per le nostre iniquità. Il prezzo della nostra pace è ricaduto su di lui, e attraverso le sue lividure noi siamo stati guariti. Questo è il concetto di sofferenza vicaria: la sua sofferenza non era per i suoi peccati, ma per i nostri. Noi eravamo "erranti come pecore", ognuno sulla propria via, e Dio ha riversato su di lui "l'iniquità di noi tutti".
La sua accettazione è commovente: "Maltrattato e umiliato, non aperse bocca. Come un agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi tosatori non aperse bocca." Questa immagine di silenziosa accettazione del sacrificio accentua il pathos e la grandezza del suo atto. La sua morte, ingiusta e tra i malfattori, è stata comunque un atto di perfetta innocenza, "senza alcuna violenza e senza inganno nella sua bocca."
La sovranità divina si manifesta nel fatto che "piacque all'Eterno di percuoterlo, di farlo soffrire", per un fine più grande. Offrendo la sua vita "in sacrificio per il peccato, egli vedrà una progenie, prolungherà i suoi giorni, e la volontà dell'Eterno prospererà nelle sue mani". La sua sofferenza non è vana; porterà frutto, e attraverso la sua conoscenza, "il giusto, il mio servo, renderà giusti molti, perché si caricherà delle loro iniquità". Per questo, riceverà la sua parte tra i grandi, come riconoscimento del suo sacrificio supremo.
La Fedeltà di Cristo: Un Modello per la Nostra Vita
Quando leggiamo questi versi, immaginando la scena, la vastità del sacrificio di Cristo ci lascia senza fiato. Qui vediamo la profonda fedeltà di Cristo: l'infinita sofferenza che ha dovuto sopportare non lo ha scalfito nemmeno per un attimo. La sua determinazione a portare a termine la missione affidatagli, nonostante il costo inimmaginabile, è la massima espressione di fedeltà.
Questa immagine d'amore e di sacrificio dovrebbe toccare profondamente il nostro cuore, spingendoci a prendere la decisione definitiva di rimanere fedeli a Lui per sempre.
La Nostra Responsabilità: Essere Amministratori Fedeli
Infatti, anche a noi è richiesta fedeltà. Siamo chiamati a essere "amministratori della grazia di Dio" (1 Pietro 4:10). E, come ben sai, "agli amministratori è richiesto di essere fedeli" (1 Corinzi 4:2). Questo implica che la grazia che abbiamo ricevuto non è solo per noi stessi, ma è un dono da gestire con responsabilità e coerenza.
Ma in cosa dobbiamo essere fedeli principalmente? Nel credere alla Parola di Dio.
Questa è la chiave. Pensando alla fedeltà di Cristo, attraverso la quale abbiamo ricevuto "grazia sopra grazia", come possiamo non essere fedeli fino alla morte nel credere che ciò che Gesù ha detto e ha fatto sarà assolutamente efficace nella nostra vita? La sua fedeltà passata garantisce la veridicità e l'efficacia delle sue promesse presenti e future per noi.
Se hai problemi di salute, sii fedele in modo attivo nel credere che sei già stato guarito! Anche se il tuo corpo ti dice il contrario. Questo è un richiamo potente alla fede che trascende la percezione sensoriale.
Quando sorgono dubbi e non vedi via d'uscita al tuo problema, pensa a Gesù: nel culmine della sua sofferenza, è rimasto fedele perché guardava oltre il dolore, verso il compimento della volontà divina.
Anche noi abbiamo la capacità di farlo. La richiesta di fedeltà implica che Dio ci ha dotati degli strumenti necessari per esserlo.
Fedeltà è, dunque, rimanere fermi nel credere e nel confessare che ciò che Cristo ha fatto e detto è vero, senza dubbio, senza timore, glorificando Dio continuamente. Rimanere fermi nel credere che come Dio ha fatto una promessa, Egli è altrettanto fedele nel mantenerla.
La Parola di Dio ci dice: Giosuè 23:14 riconoscete dunque con tutto il vostro cuore e con tutta l'anima vostra che neppure una di tutte le buone parole che il SIGNORE, il vostro Dio, ha pronunciate su di voi è caduta a terra; tutte si sono compiute per voi: neppure una è caduta a terra.
E Luca 21:33 : Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Questo vale anche quando tutto intorno a noi sembra dimostrare il contrario, quando il nostro credere ci rende "ridicoli" agli occhi degli altri, o quando ciò che affermiamo "non si vede ancora". È una costante riaffermazione di un legame e di un principio, una scelta attiva e quotidiana a credere nelle promesse di Dio che trascende le circostanze.
La fedeltà, in questo senso, non è mai passiva, ma è sempre un'azione, una costante riaffermazione del nostro credere. È un esercizio quotidiano di fiducia e coerenza.
Alla luce di questa profonda riflessione sulla fedeltà di Cristo e l'importanza della nostra fedeltà, cosa trovi più sfidante nel mettere in pratica questa fedeltà "attiva" nella tua vita quotidiana? E cosa, al contrario, ti motiva di più a perseguirla?
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