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La Cena del Signore


Il tema della Cena del Signore, nel suo senso biblico e non tradizionale – religioso, è uno di quei temi che più è stato frainteso e adattato alle proprie tradizioni. Come, d’altronde, tutti gli argomenti biblici di importanza fondamentale per la vita del cristiano sono stati in qualche modo adattati, o resi fluidi a seconda delle culture in cui vengono trattati.

Perché si verificano questi adattamenti?

- Il bisogno umano di dare forma e struttura perché la fede è intangibile. Gli esseri umani tendono a creare strutture, rituali e simboli visibili per comprendere e vivere la loro spiritualità. Questa tendenza, se non guidata dalla Scrittura, può portare a tradizioni che oscurano l'intenzione originale.

- La fluidità culturale: Ogni cultura ha i suoi valori, le sue metafore e i suoi modi di pensare. Quando il Vangelo è stato portato in nuovi luoghi, è stato inevitabilmente interpretato attraverso il prisma culturale locale. Se questo processo non è bilanciato da un costante ritorno alla Scrittura, il messaggio può essere distorto per adattarsi alla cultura anziché trasformarla.

- Il desiderio di controllo: L'istituzionalizzazione della religione, con le sue gerarchie e i suoi dogmi, ha spesso portato a una maggiore enfasi sulla tradizione come mezzo per mantenere l'autorità e l'unità dottrinale. Questo ha a volte messo la tradizione al di sopra della Scrittura, o l'ha usata per giustificare interpretazioni che servivano gli interessi dell'istituzione.

La sfida per ogni generazione di cristiani è quella di tornare costantemente alla fonte, la Bibbia, per distinguere ciò che è essenziale da ciò che è un adattamento culturale o una tradizione umana. La Cena del Signore, nel suo significato più profondo e semplice, non è solo un rito, ma un richiamo alla memoria della morte e resurrezione di Cristo e un'anticipazione del suo ritorno.

Per molto tempo ho creduto che la Cena del Signore fosse qualcosa di simbolico, infatti si diceva: “prendiamo i simboli”; per quanto il pane e il vino possano essere considerati dei simboli, ho compreso che la Cena del Signore è invece un “memoriale”.

Qual è la differenza tra simbolo e memoriale?

Un simbolo è un segno visibile che rappresenta o evoca una realtà invisibile, ma è statico, lo si potrebbe paragonare a un’etichetta, un oggetto o un segno che ricorda qualcosa.

Un memoriale è qualcosa che parla, racconta, è vivo. Nel contesto biblico e teologico, il termine "memoriale" (in ebraico zikkaron, in greco anamnesis) ha un significato molto più profondo e dinamico di un semplice ricordo passivo.

Non è solo un "ricordo" mentale. Nell'Antico Testamento, un zikkaron non solo ricorda un evento passato (ad esempio, la liberazione dall'Egitto), ma lo rende in qualche modo presente e operante per coloro che lo celebrano.  

Quando Gesù dice "fate questo in memoria di me" (touto poieite eis ten emen anamnesin), non sta semplicemente dicendo "ricordatemi". Sta dicendo di compiere un'azione rituale che, attraverso lo Spirito Santo, rende in qualche modo presente e efficace il sacrificio di Cristo sulla croce nella nostra vita. È un rivivere qualcosa che è successo. 

È anche interessante il fatto che Gesù in pratica dice “ricordatemi facendo questo”, allora posso capire quando lo diceva ai suoi discepoli che avevano vissuto con Lui, o ai suoi contemporanei. Ma detto a noi che non l’abbiamo mai visto di persona può sembrare strano, come possiamo ricordare qualcosa che non abbiamo né visto né vissuto? Ecco che qui viene fuori la grandezza dell’opera di Cristo, e di come Lui si è identificato in noi in modo da farci essere presente alla sua morte e alla sua resurrezione. Noi spiritualmente eravamo in Lui, e quando abbiamo creduto e siamo nati di nuovo quella realtà è stata impressa nel nostro spirito ed è diventata la nostra realtà. Il sacrificio di Cristo non è più soltanto un fatto storico ma è la nostra vita stessa. Per questo motivo lo possiamo ricordare.  

Romani 6:6: ...sapendo questo: che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui.

Galati 2:20: ...Sono stato crocifisso con Cristo

Questi versetti, e molti altri, ci dicono che non eravamo solo degli spettatori passivi del sacrificio di Cristo. Nella sfera spirituale, eravamo presenti in Lui. La sua morte è diventata la nostra morte, la sua sepoltura la nostra sepoltura, e la sua risurrezione la nostra risurrezione. Questo atto non è solo un fatto storico, ma è diventato la nostra realtà personale e spirituale.

Pertanto, quando celebriamo la Cena del Signore, non stiamo cercando di ricordare un evento storico al quale non abbiamo partecipato. Al contrario, stiamo dichiarando e vivendo la nostra realtà spirituale: stiamo ricordando la nostra morte e resurrezione in Cristo. Il memoriale è un atto che parla e racconta la nostra identificazione con Lui e, in questo senso, "rivive" spiritualmente ciò che è successo, rendendolo attuale nella nostra vita e nel nostro cuore.

Infine, è anche un atto di proclamazione, non solo rivolto a noi, ma è anche una proclamazione della morte del Signore "finché egli venga" per il mondo naturale e per il mondo spirituale (1 Corinzi 11:26).

La nostra identificazione con la morte e la resurrezione di Cristo diventa autentica non solo a livello concettuale, ma nella misura in cui la accettiamo e la crediamo come una realtà che definisce la nostra identità. La domanda che ci interpella è: credi davvero di essere morto con Cristo? Questa morte è davvero presente e attiva nella tua vita di ogni giorno?

L'apostolo Paolo ci esorta in Romani 6:11: Così anche voi, consideratevi morti al peccato, ma viventi a Dio, in Gesù Cristo, nostro Signore.

Il termine "consideratevi" non è un semplice suggerimento o un pio desiderio; è un comando che ci invita a un cambio radicale di prospettiva. Per considerarsi morti al peccato, dobbiamo credere veramente di essere stati recisi dal suo dominio. Purtroppo, nel linguaggio religioso comune, si sente spesso la frase "Siamo peccatori perdonati". Sebbene ci sia una verità in questo, essa può nascondere un fraintendimento: essa implica che si è ancora un peccatore per natura, semplicemente coperto dal perdono. La Bibbia, invece, ci dice che in Cristo siamo diventati una nuova creazione (2 Corinzi 5:17), non semplicemente un vecchio uomo perdonato.

Quando ci consideriamo morti al peccato, viviamo con la ferma consapevolezza che non siamo più schiavi della sua natura. Questo non significa che non commetteremo mai più un errore o un'azione sbagliata, ma che quando ciò accade, sappiamo che la nostra identità fondamentale non ne è compromessa. Non siamo "peccatori che peccano", ma "giusti che hanno commesso un peccato". Questo peccato, come ogni altro peccato passato, presente e futuro, è già stato perdonato in virtù della nostra crocifissione con Cristo. È proprio questa certezza che alimenta la nostra lode e riconoscenza, facendola esplodere in ogni momento della nostra vita, perché il nostro essere è stato radicalmente trasformato.

Ora che abbiamo compreso la nostra identità in Cristo, torniamo al memoriale che Egli ha istituito. L'apostolo Paolo, nel capitolo 11 della prima lettera ai Corinzi, dal versetto 17 al 34, affronta con forza i peccati che stavano vanificando questo momento così cruciale per ogni credente. Al versetto 20, Paolo tuona: Quando poi vi riunite insieme, quel che fate non è mangiare la Cena del Signore!

Che cosa stava accadendo a Corinto per meritare un rimprovero così severo? C'erano divisioni, lotte di potere e fazioni: "io sono di Paolo, io sono di Apollo, io sono di Cefa", e persino un'élite "più spirituale" che si vantava di essere "di Cristo". Queste divisioni portavano inevitabilmente a un'emarginazione dei deboli e dei bisognosi. I poveri venivano esclusi dalla comunione, poiché la cena era diventata una gara di prestigio e uno sfoggio di status.

La Divisione Oggi: Un'Eredità Corinzia

Tragicamente, questa realtà non è molto diversa da ciò che accade oggi. Anche nelle nostre chiese, la discriminazione si manifesta in modi sottili o espliciti. Le persone vengono emarginate in base all'abbigliamento, ai tatuaggi, alla popolarità o, ancora più tristemente, alla denominazione a cui appartengono.

È particolarmente preoccupante l'idea, marcata in alcuni ambienti, che la Cena del Signore sia un privilegio esclusivo di una specifica comunità locale. Si scoraggia la partecipazione con altri credenti solo perché "non la pensano come noi" o "hanno una visione diversa". 

So di un pastore che scoraggiava i membri della sua comunità ad andare in visita in altre comunità perché avrebbero ricevuto un "seme diverso" e, diceva: "la Parola dice di non mischiare i semi".

La paura di un presunto "seme diverso" riflette una mentalità di divisione e competizione tra le varie denominazioni. Invece di celebrare ciò che ci unisce – l'unico Signore, l'unica fede, l'unico Battesimo – si pone l'accento su ciò che ci divide: differenze dottrinali, tradizioni o interpretazioni teologiche.

Questo crea un clima di sospetto e di paura in cui la fedeltà alla propria denominazione viene considerata più importante della comunione con l'intero corpo di Cristo.

Questi sono solo alcuni esempi, che non hanno lo scopo di disprezzare le comunità locali, ma di evidenziare quanto sia urgente tornare alla pura Parola di Dio. Dobbiamo spogliare il comandamento della Cena del Signore da tutte le false dottrine e tradizioni che lo hanno appesantito nel corso dei secoli. La Cena del Signore è un memoriale che celebra la nostra unione in Cristo, non la nostra separazione. È un invito a ricordare chi siamo in Lui e a vivere in unità con tutti coloro che Lo chiamano Signore.

Subito dopo la Pentecoste, l'evangelizzazione si diffuse rapidamente, come Gesù aveva comandato. La pratica comune dei primi credenti non era quella di costruire grandi edifici, ma di riunirsi in case. Queste "chiese in casa" (come menzionato in Romani 16:5, 1 Corinzi 16:19 e Colossesi 4:15) erano piccole comunità che si radunavano per pregare, studiare la Parola, condividere i pasti e spezzare il pane insieme.

L'insieme di tutte queste piccole realtà sparse in una città non erano considerate chiese separate e indipendenti, ma formavano un'unica "chiesa". Ad esempio, c'era "la chiesa di Efeso", "la chiesa di Corinto" o "la chiesa di Filippi", anche se in realtà si trattava di molteplici gruppi di credenti che si riunivano in case diverse. Questo concetto di unità, che trascende le singole riunioni, è cruciale.  Periodicamente si radunavano tutte insieme proprio come una sola chiesa per celebrare la cena del Signore. Ed è qui che Paolo li riprende per come si erano divisi.

Paolo non si rivolge a diverse chiese separate, ma all'unica chiesa di Corinto. Il problema era che, nonostante fossero un'unica chiesa, agivano come se fossero divisi. Quando si radunavano tutti insieme, come una sola entità, per celebrare la Cena del Signore, portavano con sé le loro divisioni e fazioni.

Paolo li riprende con forza, perché la loro condotta contraddiceva la natura stessa del rito. La Cena del Signore è una celebrazione dell'unità in Cristo, del fatto che tutti i credenti, indipendentemente dal loro status sociale o dalla loro posizione, sono uniti nel suo corpo spezzato e nel suo sangue versato. 

Anche oggi, sebbene ci riuniamo in diverse comunità locali o denominazioni, non riusciamo a riunire tutte le comunità di una città in una sola chiesa di credenti che si radunano per celebrare la morte del Signore nella piena consapevolezza di cosa si sta facendo.

Siamo tutti parte di un'unica e sola Chiesa universale. La Cena del Signore non è un rito che appartiene a una sola congregazione, ma è il simbolo della nostra profonda unione con Cristo e con tutti i Suoi credenti. Questo è il corpo di Cristo. 

Alla luce di tutto ciò che abbiamo detto ci rendiamo conto del vero significato delle parole di Paolo in 1 Corinzi 11:27 Perciò chiunque mangia di questo pane o beve del calice del Signore indegnamente, sarà colpevole del corpo e del sangue del Signore.

Non si sta parlando del fratello che ha commesso un peccato, è stato scoperto, allora non può prendere la cena del Signore finché non si ravvede (e quante persone vengono escluse da essa per questo motivo), questo non è in linea con il sacrificio di Cristo, perché è scritto:  Romani 5:8 ma Dio mostra la grandezza del proprio amore per noi, in quanto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.

Se è morto per noi mentre eravamo peccatori, perché adesso che siamo salvati dovremmo evitare di ricordare la sua morte perché abbiamo commesso un peccato? Se la sua morte è stato ciò che mi ha salvato dal peccato perché ora il ricordare la sua morte dovrebbe distruggermi? È un controsenso enorme!

Perciò, mangiare "indegnamente" significava prendere parte a un rito di unità (la Cena del Signore) mentre si agiva in modo che contraddiceva la realtà di quell'unità. Stavano partecipando a una celebrazione del "corpo" (simbolo del sacrificio di Cristo) senza riconoscere il "corpo" (la comunità dei credenti) che avevano accanto a loro. 

Il peccato, nella sua essenza, è un fallimento nel vivere la nostra identità in Cristo. Ma la trappola più grande nel mondo religioso non è tanto il singolo peccato, quanto un sistema di leggi basate sulle opere, dove si misura la spiritualità di una persona in base alla sua performance. È questo sistema, che giudica gli altri e si eleva al di sopra di loro, che vanifica l'opera di Cristo nella nostra vita. Gesù ha già pagato il prezzo per tutti i nostri peccati. Il nostro compito è vivere nella gratitudine per il suo sacrificio e nell'unità con il Suo corpo, la Chiesa.

Paolo prosegue, invitando ogni credente a un profondo esame di sé stesso. In 1 Corinzi 11:28-29 scrive: Ora ognuno esamini se stesso, e così mangi del pane e beva del calice, poiché chi ne mangia e beve indegnamente, mangia e beve un giudizio contro se stesso, non discernendo il corpo del Signore.

L'esortazione a esaminare se stessi non è un invito a una ricerca ansiosa di peccati personali per sentirsi indegni. Come abbiamo visto, non è il peccato individuale che rende indegni, ma la mancanza di unità. Pertanto, l'esame di sé ha un obiettivo ben preciso: verificare se si riconosce e si onora il corpo di Cristo, sia nella sua dimensione spirituale (il sacrificio di Gesù) che in quella terrena (la Chiesa, la comunità dei credenti).

La Cena del Signore dovrebbe essere il momento in cui ogni barriera e ogni differenza cadono. È l'occasione per riconoscere la grandezza dell'opera di Cristo e la portata del Suo immenso amore non solo verso di noi, ma anche verso tutti coloro che ci circondano, nessuno escluso. Partecipare a questo memoriale con un cuore diviso o con una mentalità di esclusione significa "non discernere il corpo" e, di conseguenza, mangiare e bere il proprio giudizio.

La ripetizione di questo memoriale, come ci ricorda Paolo in 1 Corinzi 11:26, ha uno scopo preciso: rinnovare la nostra mente e allinearla alla volontà di Dio. Il peccato che commettevano i Corinzi – e che spesso commettiamo noi – non era solo un problema comportamentale, ma un problema di mentalità.

La celebrazione della Cena del Signore ci invita a spogliarci di ogni pregiudizio e a considerare ogni credente come un membro prezioso dello stesso corpo. Questo momento di comunione dovrebbe portarci a una nuova consapevolezza che ci accompagni nei giorni e nelle attività che seguono, fino a raggiungere la piena espressione della nostra identità di membra unite nel corpo di Cristo.

Gli ultimi versetti di questo argomento richiedono un’attenzione particolare: 1 Corinzi 11:30-32 Per questa ragione fra voi vi sono molti infermi e malati, e molti muoiono. 31 Perché se esaminassimo noi stessi, non saremmo giudicati. 32 Ma quando siamo giudicati, siamo corretti dal Signore, affinché non siamo condannati col mondo.

Qui si sta parlando di giudizio, il che spaventa sempre un po’, il pensiero di cadere sotto il giudizio di Dio è pesante. 

Come possiamo conciliare i versetti sopra con Giovanni 3:18 Chi crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio?

La Parola è tutta vera e non si contraddice, ma se solo i credenti possono accostarsi alla cena del Signore, (giustamente perché stanno ricordando il proprio perdono dei peccati e la propria redenzione) e Giovanni ci dice che non siamo giudicati, come possono essere qui giudicati?

Il giudizio agisce sempre fuori dall’ambito della grazia: o c’è grazia o c’è giudizio, i due non possono coesistere.

Quando le divisioni si insinuano in una comunità, i credenti iniziano a misurare la loro spiritualità e il loro valore in base a "performance" personali: "io sono più bravo", "io sono più spirituale", "io ho capito più degli altri". Questo modo di fare e di pensare è una forma di legalismo che ci allontana dalla grazia.

Galati 5:4 spiega: Siete stati separati da Cristo, voi che cercate la giustificazione per mezzo della legge; siete scaduti dalla grazia.

Vivere nella grazia significa riconoscere che la nostra salvezza non dipende dalla nostra bravura, dalla nostra intelligenza, o dalla nostra capacità di obbedire, ma dal sacrificio totalmente gratuito di Cristo. Quando le divisioni ci spingono a giudicare gli altri, stiamo di fatto tornando a un sistema basato sulle opere, annullando la potenza della croce. Il giudizio di correzione del Signore interviene proprio per riportarci alla nostra identità fondamentale: siamo stati salvati per grazia, e il nostro valore non si basa su ciò che facciamo, ma su chi siamo in Lui.

Dobbiamo inoltre, distinguere dal giudizio eterno che è quello in cui si incorre se non si crede in Cristo, e il giudizio di correzione e disciplina. Ora, attenzione, non è Dio a mandare le malattie, come alcuni credono, Lui non è mai l’autore delle malattie, nemmeno per disciplinarci. 

La malattia o la morte, menzionate in questi versetti, insorge perché noi ci mettiamo in una posizione fuori dalla grazia per via del legalismo (per restare nel nostro tema) perché o siamo nella grazia o siamo nelle opere (Romani 11:6) Quando un credente, pur essendo salvato per grazia, agisce come se la sua posizione dipendesse dalle sue azioni (come succedeva ai Corinzi con le loro divisioni e il loro disprezzo per gli altri), sta di fatto uscendo dal "territorio della grazia" e subendo le conseguenze di una mentalità basata sulle opere, che nel mondo porta a giudizio.

Questo giudizio non annulla la salvezza, che è eterna (Ebrei 9:12,15), ma ha delle conseguenze pratiche che si manifestano anche fisicamente. È come se il credente si mettesse volontariamente fuori dalla protezione della grazia, esponendosi alle stesse conseguenze che il mondo subisce a causa del peccato. La disciplina del Signore consiste nel mantenere ferma la sua Parola, i suoi principi, lasciando libero corso alle conseguenze della nostra caparbietà affinché possiamo ravvederci. Lo Spirito Santo che è in noi ci ricorda la Sua Parola e questa ci porta a ravvedimento.

Questo è un argomento che merita una riflessione più approfondita, ma ho cercato di cogliere il punto essenziale. La Cena del Signore, nel contesto di 1 Corinzi, ci spinge a esaminare non la nostra perfezione morale, ma la nostra aderenza alla grazia di Cristo. Riconoscere il Suo corpo significa riconoscere che siamo uniti in Lui, al di là di ogni differenza. Ignorare questa verità e vivere secondo le divisioni del mondo è un passo pericoloso che può esporci a un giudizio di correzione. Potete farmi domande se desiderate, cercherò di rispondere.

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Chi sono

Ciao a tutti e benvenuti su Pilastri della Fede! Sono Nadia Pianalto: nella vita sono moglie, mamma e nonna, ruoli che amo e che hanno arricchito il mio percorso. Ma c'è un altro aspetto della mia vita che mi sta profondamente a cuore e che desidero condividere con voi: la mia continua crescita nel cammino di fede. Sono cresciuta nella Chiesa Cristiana e per decenni ho vissuto la mia fede con grande impegno. Ero attiva nella comunità, seguivo le pratiche tradizionali e credevo sinceramente di dare il meglio. Tutto questo ha gettato le basi per la mia spiritualità e mi ha sostenuto nel mio percorso. Tuttavia, con il tempo, ho capito che c'era qualcosa in più. Pochi anni fa ho avuto una rivelazione profonda: pur amando la Chiesa, mi mancava una relazione personale e diretta con Dio. Questa non è stata una rottura con il passato, ma piuttosto un'evoluzione. Ho scoperto che una relazione con Dio si costruisce principalmente in due modi: Conoscendolo attraverso la Sua Parola, la...

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